Texte écrit par Frédéric Elkaïm
Non è raro che la Storia dell’Arte ci riveli a distanza di decenni la potenza creatrice di artisti a lungo sconosciuti. E’ il caso ad esempio di Louise Bourgeois che ha costruito un’opera singolare e proteiforme senza che gli ambienti culturali newyorchesi fossero venuti a conoscenza del suo immenso contributo prima che avesse compiuto cinquant’anni.
Naturalmente, questo fenomeno tocca molti artisti dell’arte moderna, da Cézanne a Gauguin passando per Hilma e Klint o più recentemente Alina Szapocznikow... Sono spesso pittori e scultori che elaborano un’opera originale ma indipendente e che preferiscono consacrare il loro tempo all’instancabile ricerca della forma e del senso che ne emerge, anziché al riconoscimento dai professionisti di settore o dal pubblico. Questi “innovatori” non trascurano l’eredità lasciata dai loro predecessori, né le multiple influenze che ispirano loro. Però cercano sia di sintetizzare questi contributi sia di superarli per creare un’opera personale. Sono spesso artisti colti, filosofi, con una tensione spirituale o delle sensibilità eccezionali capaci di affrontare in modo originale la creatività che una lunga tradizione artistica ha lasciato loro e che riescono a sublimare in una visione rinnovata. Henri Beaufour appartiene esattamente a questa categoria di artisti.
Contemporaneamente barocco, espressionista e informale, costruisce da trent’anni un’opera ricchissima ma coerente che si impone fuori dai circuiti istituzionali e di mercato e merita ora piena luce.
Formato all’arte e alla Storia dell’Arte negli Stati Uniti, in Francia e in Italia, appassionato di letteratura e curioso di tutte le forme di cultura e filosofia, Henri Beaufour non trascura tuttavia l’arte manuale che ha sperimentato per anni presso maestri scultori, senza tralasciare il disegno e la pittura che restano per lui la base, come dice lui stesso: “la pratica del disegno mi permette di cogliere le forme della scultura che altro non è che un oggetto”. Si vede subito, il rapporto tra l’espressività e il simbolo passa per lui attraverso la realizzazione spontanea e diretta, una forma di corpo a corpo con la materia che pervade tutto il suo lavoro e ci inietta un sentimento globale di grande potenza.
Che pratichi lui stesso il taglio diretto o lasci a degli artigiani la cura di realizzare i suoi disegni, le sue idee, il nostro scultore è una sorta di genio istintivo che sa infondere vita al marmo, e tuttavia non smette di provare ad aprire uno spazio concettuale, intellettuale, con riferimenti (miti, figure storiche, allegorie) tra l’inerzia della materia e la sua vitalità espressionista. Se ha preso dimora a Pietrasanta, una cittadina medievale toscana rinomata dal Rinascimento per le sue fonderie e marmorerie, è perché vi ha potuto sviluppare un laboratorio in collegamento diretto con la grande Storia della scultura e coltivare gli effetti dinamici e ispiranti ancora presenti, e allo stesso tempo costruire un universo che porti questa eredità verso nuove conclusioni.
Beaufour è quindi un artista che rappresenta con il suo modo singolare e spontaneo molti riferimenti. Citiamo, non in ordine, la scultura barocca, in particolare il Bernini, così come i suoi seguaci del diciannovesimo secolo come Carpeaux o ancora Rodin per la potenza, fino a Henry de Waroquier della Scuola di Parigi. Siccome la scultura non smette di interpellarlo sulla persistenza della sua eredità storica, è naturale che Beaufour si interroghi a sua volta su nozioni di classicismo, barocco, naturalismo ed espressioni care ad ogni sperimentatore. Il suo bestiario di animali scolpiti si iscrive piuttosto nelle culture dell’Antichità e del Medioevo, dalle metafore e dalle fiabe fino ad un mondo fantastico, così come nel ritorno di un interesse artistico per la singolarità animale sviluppata nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo da Barye, Jouve, Pompon, ecc… Il disegno, la pittura, l’incisione costituiscono tutte vie parallele e complementari nel suo infinito tentativo di trasmettere una verità di vita attraverso la materia.
L’espressionismo sembra farla da maestro, da Kirshner agli antichi eredi che possono essere, tramite l’arte informale, figure maggiori di un ritratto torturato dell’umanità quali Dubuffet, Bacon o ancora Combas e Basquiat.
Inoltre non possiamo nemmeno dimenticare il vitalismo del movimento CoBra che sembra pervadere il suo tratto, né ovviamente l’ombra tutelare di Picasso, la cui influenza è ugualmente percepibile nella pratica di pittura su piatti...
Malgrado la raccolta di influenze e di riferimenti perfettamente integrati da Henri Beaufour, sarebbe sbagliato assimilarlo ad un mero diffusore di queste tendenze nonostante abbiano in comune la libertà di espressione ed un’energia nelle forme, che ritroviamo con coerenza in tutta la sua produzione poiché vi è nel suo lavoro una singolarità, marchio di uno spirito veramente originale e totalmente distaccato dalle mode attuali. Il suo universo grafico è attraversato da un fecondo paradosso tra espressività libera e banalità contemporanea, che sottolinea sia una certa vacuità dell’esistenza sia la grandezza della semplicità. I personaggi, siano essi storici, mediatici o anonimi sono catturati con forza nei ritratti dipinti, incisi, disegnati, come fossero fissati nel bel mezzo di un movimento incerto, modesto, ambiguo, e tuttavia messi in evidenza da un tratto generoso, brillante, ampio.
Le facce, esito di minuziose osservazioni e numerosissimi schizzi, sono spesso grottesche e tormentate, talvolta sarcastiche o crudeli: ci interrogano sulla cruda verità della nostra condizione umana. E’ però nella scultura che la mano di Beaufour raggiunge apici particolarmente tortuosi di singolare creatività. E’ difficile definire che cosa scateni nello sguardo dell’osservatore una tale impressione di sorpresa davanti ad opere che sembrano estratte dal repertorio universale, dallo statuario preistorico fino alle forme più attuali. Bestie naturalistiche o al contrario fantastiche, figure della bibbia o dell’antichità, individui non identificati, persi nella loro vaghezza, ci si trova di fronte ad una galleria di personaggi veramente impossessati e vivi che continua ad agitarsi davanti ai nostri occhi in modo sardonico e nello stesso tempo profondamente fragile. E’ una dimensione vitalistica, espressionista, potente, spontanea che non appartiene che a lui.
Sono pulsioni elettriche che attraversano il marmo, liberando tratti precisi, scavando il tempo come rughe, creando visi grotteschi e tuttavia perfettamente ritagliati. Sono le emozioni che ci attraversano direttamente, fisicamente, attraverso il contatto con una materia finalmente animata. Ed è probabilmente questa la ragione per cui ci si può chiedere se Henri Beaufour non starebbe elaborando nella profonda confidenzialità, un’opera importante. E’ giunto il momento di avvicinarci per guardare meglio!!!
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