Henri Beaufour,
un artista libero

Testo scritto da Luca Nannipieri

Henri è un artista libero. La sua ricerca eclettica, versatile, lo porta a lavorare in scultura, pittura, grafica, mosaico, ceramica, con uno spirito assolutamente esplorativo. Se l’arte è estro, vitalità espressiva, Henri ne è una testimonianza viva.

Nulla di ciò che fa è misurato dalla convenienza. Nulla di ciò che fa è pensato per ossequiare i gusti del mercato, le tendenze, le preferenze mosse dal guadagno.

Lo stile di Henri si caratterizza per un espressionismo ricercato che accentua i caratteri fisici delle figure umane e animali, distorce i muscoli dei corpi in tensioni, nervi, zigomi, fibre, senza mai arrivare al grottesco, al macchiettistico, all’osceno.

La scultura è finora la sua attività principale, tra marmo e argilla, ma lavora anche con pastelli su carta, con gli acrilici su tela, con le graffiature delle incisioni grafiche, con la miriade di frammenti dei mosaici.

Questa accentuazione dei caratteri fisiognomici, dei profili, delle di-grignature, dei noduli, è il suo tratto più individuale. Le sue opere però non sono caricature, non sono farse o burle. Henri lavora su un crinale molto sottile, ovvero quello che separa l’intensificazione di un carattere espres-sivo, come fa lui, dal suo rovesciarsi in umorismo vuoto, carnascialesco.

Il talento di Henri non cade mai. La deformazione dei tratti somatici è tirata fino al punto più estremo, per non divenire mai derisione. Il nostro artista spinge i lineamenti umani o animali fino al punto in cui l’armo-nia e la compostezza fisica si scompaginano, si disordinano, e diventano espressione interiore, stato d’animo, simbolo. Henri non crea figure, ma stati psichici.

Nella storia dell’arte, questo procedimento ritrattistico ha avuto il-lustri predecessori.

Ad esempio, in pittura, si possono ricordare Hieronymus Bosch, Pie-ter Bruegel, Hans Baldung Grien, Francisco Goya, Salvator Rosa, Mathias Grünewald, fino a Georges Henri Rouault, David Alfaro Siqueiros, o a Paul Klee prima che raggiungesse l’astrazione.

Anche in grafica possiamo trovare degli antenati, da Odilon Redon ad Alberto Martini. Nel disegno queste esuberanze espressive trovano apici assoluti nelle caricature di Leonardo da Vinci.

Per non parlare poi della scultura – vero banco di confronto per la tenuta dello stile di Henri – dove gli antesignani che caricano i volti e i muscoli scolpiti fino a farli divenire eccessi trovano delle testimonianze assolute nei marmi di Auguste Rodin, nelle cere di Medardo Rosso, nelle maschere simulate di Adolfo Wildt.

L’aspetto quasi schernito, comico, dei volti e dei corpi di Henri non riesce e non vuole mai diventare risata: si ferma un secondo prima, nell’i-stante in cui quei volti, quelle braccia, quelle tensioni nervose diventano gioia creativa, ma anche inquietudine, pensiero.

Non è nato così dal nulla questo procedimento creativo. Dopo aver iniziato l’apprendimento a Parigi, dal 1990 Henri si trasferisce a Pietrasanta. Vuole imparare dalla viva mano degli scultori del marmo, degli scavatori, degli sbozzatori, dei laboratori marmiferi, come nascono e come si svi-luppano le sculture della preziosa pietra bianca. Il grande richiamo dei capolavori di Michelangelo, Bernini, Canova, Rodin, ha fatto divenire nel tempo quel lembo di terra, cave e montagne che sta tra Massa e Carrara, un centro dove arrivano, passano o risiedono molti scultori.

Henri va dunque a Pietrasanta, come hanno fatto vari altri artisti a lui contemporanei, come Fernando Botero, Igor Mitoraj, Jean-Michel Folon. Ma a differenza di altri, in questa terra rimane, ne fa il suo luogo di elezione, come ha fatto anche Kan Yasuda.

È curioso, ma assai indicativo, che il nostro artista dalla città ricono-sciuta a livello mondiale come la capitale dell’arte dell’Otto-Novecento e una delle massime capitali dell’arte al mondo, abbia preferito spostarsi nella riviera carrarese che, a confronto della metropoli francese, è sicu-ramente una località più periferica.

È come se Henri trovasse più stimolo nel fare arte da questo “ritiro” appartato rispetto al vivere nel glorioso centro parigino. Ed è proprio da questa “lateralità” di Pietrasanta, di Massa e Carrara, che Henri impara gli strumenti più quotidiani del suo mestiere: frequenta gli artigiani dei laboratori marmiferi. Le opere più estese, nella maggior parte dei casi, vengono prima abbozzate in creta, poi progettate con loro, dalla discus-sione, dal confronto continuo: realizza in scultura vari formati, da basso-rilievi ad altorilievi, da sculture di medio formato a opere di imponenza pubblica.

Lo caratterizza, fin dalle prove che conosciamo, non il realismo delle figure ma la voluta alterazione, la sproporzione dei tratti, dei lineamenti, perché è proprio con questi allontanamenti dal mimetismo ritrattistico che Henri indaga la mente umana, la natura, la forza muscolare, la ten-sione dell’esserci.

Il cane in marmo di grandi dimensioni, rappresentato dal nostro artista, ha una nobiltà nella postura ma anche una rigidità muscolare che lo rendono snello e possente, flessuoso e altero: si sente che il gesto scultoreo ha lavorato con gioia e perizia, ma vi è anche raccoglimento, oculata concentrazione. E quest’opera lo esprime compiutamente.

"Le sénégalais", "Le carrier", "Le pigeon en colère" e soprattutto "Europe" sono gli apici dove questa caratterizzazione diventa emblematica. "Europe", forse ad oggi la sua scultura più archetipica, che mostra una donna dai seni prominenti che cavalca un ibrido, una figura che ha la parte posteriore di animale e la parte superiore di uomo maturo, sembra quasi una metafora: la purezza del corpo nudo femminile (la creatività? la libertà? l'audacia?) che si regge sul corpo goffo, grasso, vestito, ingessato, che guarda in modo corrugato al futuro (la burocrazia? le istituzioni? i galatei? le consuetudini). "Europe" è una scultura davvero interessante.

Anche la pittura si identifica con un tratto mosso a conferire espressionismo facciale, corporeo, gestuale ai soggetti raffigurati. Il colore dei pastelli accentua, acutizza questa predominante e forte caratterizzazione somatica dei protagonisti, al punto che anche qui ciò che viene rappresentato non è un ritratto, ma uno specchio interiore sottoforma di ritratto.

Pure nella grafica il segno del nero sul bianco, polarizzando la figura su due tonalità contrastanti, radicalizza questa carica espressività, senza che mai, ance qui, diventi grottesca o caricaturale.

Il percorso artistico di Henri è tutt’altro che chiuso: si sente che in lui, ad oggi, macina una volontà di creazione, d’inventiva, di divertimento e di perlustrazione espressiva che è nel pieno della sua attività. A noi spetta fargli l’augurio e lo sprone affinché la sua ricerca scandagli ancora la profondità dell’animo umano per consegnarci un’oncia di bellezza, di ebbrezza creativa, di spudoratezza stilistica, scappata dai cieli, per finire tra le sue mani d’artista.

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